Lunedì 7 aprile sono andata per la prima volta al Vinitaly, grazie all’ospitalità dell’Ente del Turismo Langhe Monferrato Roero, di cui sono Ambassador 5.0.
L’evento si è tenuto – come da tradizione – a Verona, in quello spazio immenso che è Verona Fiere. Fino a lunedì, l’avevo visto solo da fuori. E dentro, è stato incredibile.
Mi sono sentita come Alice nel Paese delle Meraviglie. Un impatto travolgente: colori ovunque, rumore, parole che si rincorrevano da ogni parte. Sembrava un enorme formicaio, dove ogni incontro, ogni scambio, era una storia di vita che passava da un bicchiere di vino.

Bevo vino, con responsabilità, da quasi vent’anni. Ma è da quando ho iniziato a scriverne che ho capito davvero cosa contiene una bottiglia: non solo un prodotto, ma la storia di chi quella bottiglia l’ha voluta riempire, giorno dopo giorno, di amore, di passione, di dedizione. Al Vinitaly ho visto un’immensità di storie prendere forma davanti ai miei occhi.
Durante la giornata ho partecipato anche ad alcune conferenze stampa allo stand del Piemonte. Erano incontri dedicati alle mie terre, quelle che raccontiamo ogni giorno su atnews.it. Ma, al di là delle notizie, alcune riflessioni emerse da questi incontri mi sono rimaste dentro. Due in particolare ho fatto mie.
Il ruolo del turismo in un consumo responsabile. Scegliere di fermarsi a dormire nei luoghi del vino, e non solo visitarli in giornata, significa evitare di mettersi alla guida dopo aver bevuto, anche poco. È un modo concreto, intelligente, per promuovere un turismo più consapevole e sicuro.
Un’altra frase che mi ha fatto riflettere è stata quella di far diventare gli abitanti di Langhe, Monferrato e Roero, turisti delle loro terre almeno per un giorno alla settimana. Non solo padroni di casa perfetti per chi arriva da fuori, ma anche esploratori curiosi delle proprie colline. E questa idea la sento mia. È proprio la filosofia con cui è nato, oltre quattro anni fa, il mio progetto Giornarunner: guardare con occhi nuovi i luoghi in cui vivo, camminarli, raccontarli, viverli da turista pur essendo a casa. Solo con questa consapevolezza, possiamo diventare noi stessi, i primi promotori di un territorio davvero unico!

Tornando al Vinitaly e al brulicare di persone, di intrecci, di storie (pensate che sono state oltre 97 mila le presenze nei quattro giorni di fiera!), è in situazioni come questa, secondo me, che viene fuori l’orgoglio delle proprie radici, l’orgoglio piemontese. È qualcosa che sento forte: prima il senso di appartenenza al Piemonte, poi all’Astigiano, e poi – in una dimensione ancora più personale – all’essere astigiana d’adozione ma roerina DOC. Sono cresciuta tra Bra e Govone, ho frequentato San Damiano d’Asti fin da piccola. E quando ti ritrovi in un posto così grande, dispersivo, istintivamente cerchi le radici. Cerchi volti noti, qualcosa che ti faccia sentire a casa.
Così, nel mare enorme dello stand Piemonte – che già da solo era un piccolo mondo – ho iniziato il mio giro partendo da chi conosco, dai produttori amici delle mie terre.

Prima di tutti, sono andata a salutare allo stand di Carlin de Paolo di San Damiano: c’erano due dei quattro fratelli, Giancarlo e Paolo con il loro staff, pronti a raccontare i loro vini. Ovviamente non ho resistito all’assaggio del loro Terre Alfieri Arneis (ma non subito, dopo aver terminato la mia parte lavorativa di giornata, né!)
Poi sono passata da Ceste, azienda del mio paese, Govone. A Verona portavano per la prima volta i loro particolari vini Piwi, che ho voluto assolutamente assaggiare e che mi hanno sorpresa con piacere. E ancora, un saluto a Polina Bosca, allo stand della sua grande azienda. Dalla Bosca di Canelli a Cocconato, al Vinitaly, è un attimo. E allo stand Cocchi ho fatto un assaggio che non dimenticherò facilmente: lo strepitoso Vermouth Storico di Torino. Sono tante le persone che ho salutato da vicino e da lontano, le storie delle nostre terre che ho ascoltato, i vini che ho scoperto.

Ma non mi sono fermata solo ai volti conosciuti, quelli visti da vicino, quelli da più lontano, quelli che ho citato e quelli che in questo momento faccio fatica a ricordare (sarà per le troppe degustazioni?). Ho voluto anche guardare oltre, lasciarmi incuriosire, esplorare. Ho voluto ascoltare storie e provare sapori nuovi, fuori dalle solite rotte.
Per riuscirci, nonostante il poco tempo a disposizione, sono riuscita a ritagliarmi un’oretta per “scappare” in Toscana. Un altro padiglione enorme, un altro mondo, in cui sono andata alla scoperta dell’interpretazione e delle mille declinazioni del vitigno sangiovese.

Una volta lasciato il padiglione del Piemonte, mi sono ritrovata davvero nel mezzo del brulicare. Nel mio mondo, quello delle Langhe, del Roero, del Monferrato, mi sento – non dico esperta – ma quantomeno preparata. Fuori da quella porta, invece, mi sentivo quasi persa.
E allora ho cambiato approccio. Mi sono avvicinata agli stand dicendo: “Io, oltre ai vini del Piemonte, non ne so molto. Raccontatemi voi.”
Ed è lì che sono iniziate le conversazioni più belle. Quelle vere. Quelle che ti fanno imparare, ma anche sentire a casa. Anche quando sei lontana da tutto ciò che conosci. Perché il mondo del vino parla la stessa lingua, ovunque tu sia. E al Vinitaly tutto questo si vive.

Ho iniziato dal Morellino di Scansano, fermandomi allo stand del Consorzio di Tutela. Ho scoperto un vino prodotto in sette comuni della provincia di Grosseto, al confine con il Lazio. Il più giovane, affinato solo tre mesi, era già ottimo, con le versioni più mature che diventavano via via sempre più intriganti.
Poi è stata la volta di Sua Maestà, il Brunello di Montalcino. Il padiglione del Consorzio, con 60 produttori presenti, mi ha lasciato disorientata da tanta magnificenza. Non sapevo da dove cominciare. Alla fine, mi sono lasciata ispirare da un dettaglio: un gruppo di giovani che uscivano da uno stand entusiasti, con il sorriso di chi ha appena vissuto un momento felice.

Così ho scoperto la Società Agricola Col di Lamo, realtà di Montalcino dove sono protagonisti i giovani. E una gentilissima giovane mi ha fatto provare il loro Brunello, anno 2020, proposto con un tocco fresco, che racconta il contributo, appunto, giovanile, nel far nascere questo vino così pregiato. L’esperienza è stata bellissima.
Poi ho provato un nome storico, che mi è stato consigliato per fare un confronto con la tradizione. Anche lì, ho assaggiato un 2020, come da Col di Lamo. Imperiale, direi. Ma la versione dei giovani mi è rimasta nel cuore. Immediata, viva. Un’altra faccia del Brunello di Montalcino.
Che grande scoperta il Vinitaly: penso che dopo questo breve assaggio, non ne potrò più fare a meno!
