Quando ti senti davvero parte di un luogo?

Due settimane fa ero per la prima volta al Vinitaly. Appena varcata la soglia dell’area fieristica, tra i padiglioni sterminati, le lingue diverse e la moltitudine di territori rappresentati, ho sentito un bisogno istintivo: trovare volti familiari. Non per comodità, ma per trovare punti fermi. Ho cercato e salutato produttori amici, persone con cui condivido ogni giorno storie e valori tra Langhe, Monferrato e Roero. Come se, in mezzo a tutta quella varietà, avessi bisogno di ritrovare un pezzo di casa, un pezzo di me.

il castello di govone

In situazioni come queste mi rendo conto di quanto sia forte, dentro di me, il senso di appartenenza. Non come sentimento vago o nostalgia, ma come presenza concreta, che emerge con forza proprio quando ci si allontana. Quando ci si confronta con il “fuori”, il “diverso”, e dentro di noi prende forma un bisogno di ancoraggio. La prima volta che avvertii questa sensazione fu tanti anni fa quando, dopo i primi due anni di Economia al Polo Universitario di Asti, proseguii il cammino a Torino. Quando ci si incontrava, tra studenti astigiani, ci si salutava, si scambiavano due parole o anche solo un cenno di sintonia. E capitava anche con chi, ad Asti, non ci salutava neanche.
Ora quello che sento non è più un senso di appartenenza sociale, come quello dei tempi dell’università, ma territoriale e culturale.
Il mio legame con il Piemonte — in particolare con le Langhe, il Roero e il Monferrato — non è solo geografico. È qualcosa che ha a che fare con le radici ma anche con il linguaggio. Con il modo in cui si racconta il vino, il cibo, la bellezza. È un’appartenenza doppia: territoriale, perché nasce da un legame con un luogo fisico, e culturale, perché si nutre di tradizioni, pratiche e narrazioni condivise.

Giro di San Pietro - Govone

Nella sociologia, il senso di appartenenza viene studiato proprio come un elemento chiave per la costruzione dell’identità individuale e collettiva. E spesso si manifesta con più intensità quando siamo lontani dal nostro contesto abituale. L’estraneità accende il bisogno di riconoscersi in qualcosa di noto.
Non si tratta di chiusura o campanilismo. Anzi, riconoscersi in un territorio e in una cultura dà stabilità, ma permette anche di aprirsi al confronto con maggiore consapevolezza.
Il mio “essere piemontese doc, astigiana d’adozione, cresciuta correndo tra Langhe e Roero” è una parte viva del mio modo di vedere il mondo, e anche di raccontare il territorio nel mio lavoro.
Vinitaly, in questo senso, è stato un promemoria. In mezzo alla complessità e alla varietà, il senso di appartenenza non solo ci ancora. Ci dà voce. E una direzione.
D’altronde, ce lo insegna Cesare Pavese…
“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.

vista dal giardino del castello di govone

Nelle foto, Govone, il mio paese… my place to call “home”.
LEGGI ANCHE
La mia prima volta al Vinitaly: un calice in mano e tanta curiosità
error: Content is protected !!