Racconti d’autunno: tra vendemmia e sfoglia della meliga

Nella seconda lezione del mio corso all’UTEA alla scoperta della “Bellezza tra Langhe, Monferrato e Roero” ci siamo soffermati su alcuni racconti d’autunno e d’inverno. La bellezza non è solo paesaggio, è anche il patrimonio di storie che vengono tramandate, di ricordi che fanno vivere spaccati della nostra società che si è trasformata nel tempo.
La ripercorriamo insieme, riprendendo quei ricordi che si collegano alle foto che propongo come “Giornarunner”. Ho utilizzato come fonte il libro della maestra Cecilia Boano, nata nel 1926, memoria storica di Govone che, prima di lasciarci, ha trasformato in un libro la sua vita.
RACCONTI D’AUTUNNO
Estratto dal libro Govone il mio paese di Cecilia Boano, arabAFenice

A vendemmiare!
Pagg. 28, 29, 30
Il tempo della vendemmia è sempre vissuto con trepidazione. Il periodo dell’estate, con il timore di grandinate è passato, anche se spesso ha procurato danni da piangere maciullando i grappoli in maturazione e danneggiando le viti colpite. Il lavoro del contadino è sempre esposto alle intemperie, a cielo aperto, senza scampo. Quando vagano nubi scure che egli sa riconoscere, si prega trepidando, si sparano i cannoni antigrandine, sperando che il temporale minaccioso, con i suoi lampi e tuoni, non scarichi la sua furia sui vigneti, sui prodotti, frutto di tante fatiche.
Un tempo, quando grandinava, si accendeva in casa la candela benedetta e si pregava, e si gettava fuori il ramo d’ulivo ricevuto nella festa delle Palme. Era una vecchia usanza, che i più anziani ricordano, un modo per implorare l’aiuto del Signore e scongiurare un danno ai campi e alla famiglia
Una sessantina d’anni fa, quando non c’era ancora la Cantina Sociale e pochi erano i giovani che si azzardavano a orientarsi verso le città e le fabbriche, la nostra gente puntava molto sulla campagna. Non c’erano le pensioni per i coltivatori o per gli anziani; perciò, i soldi erano scarsi; la maggior parte delle entrate veniva dalla terra, da ciò che si riusciva a produrre a vendere e a trattenere per uso familiare. L’uva – se il tempo accompagnava, se la grandine non distruggeva e la troppa pioggia non faceva marcire – era il prodotto agricolo di maggior valore e rendimento.

Il periodo della vendemmia era atteso e preparato con cura: ripuliti i tini nella cantina, le botti, le bigonce… ; . richiesto l’aiuto dei parenti e degli amici per poter far presto, temendo il cattivo tempo, si dava inizio ai lavori.
Nei filari si andava a due a due, per poter reggere la cesta o la corbella da spostare. Il fruscio delle foglie smosse e il ticchettio delle forbici che staccavano i grappoli, accompagnavano il parlottare sommesso dei vendemmiatori. Qua e là si sentiva anche cantare, e bambini ridere correndo da
un filare all’altro, la bocca viola per l’uva mangiata, e i vestiti imbrattati tanto da sembrare variopinti. Anche le vespe vendemmiavano, volando intorno agli acini maturi per succhiarne il dolce contenuto. Il carro con la bigoncia (arbi) veniva piazzato non lontano, per potervi svuotare i
recipienti fino a colmarlo. Se la vigna era lontana da casa, una breve sosta per la merenda o il pranzo. Una bella soma d’ai col pomodoro smorzava ‘appetito. Un bicchiere di vinello o di acqua frizzante (acqua del pozzo con dentro sciolta una bustina di visci) serviva a dissetare.
A casa, verso sera, si pigiavano le uve nella bigoncia stessa o nel tino in cantina: gli uomini si rimboccavano i pantaloni e, aggrappandosi con le mani ai bordi del recipiente, pestavano con vigore i grappoli: cicc.. ciac.. e gli acini esplodevano mandando spruzzi tutt’intorno, mentre il mosto usciva da un’apertura sul fondo. Anche i ragazzi davano un aiuto a pigiare l’uva, e per loro diventava un divertimento, Si riempivano i garocci con quel mosto, che veniva svuotato nelle botti o nei tini a fermentare. Niente veniva sprecato. I graspi, privi degli acini polposi, potevano ancora essere spremuti con il torchio per ricavarne un leggero vinello, che sapeva più di acqua che di vino, ma dissetava. Il vino più buono s’imbottigliava con una macchinetta apposita. Poi, trattenuto il fabbisogno per la famiglia, si cercava di vendere il resto a clienti che ogni anno venivano dalle città.

Autunno a Gorzano (1)

“Rapulé”
pag. 30
Nelle vigne silenziose, mentre l’autunno incalzava e i pampini pian piano cambiavano colore passando dal verde a un rossiccio stupendo, i piccoli grappoli, lasciati alla vite perché non maturati in tempo, venivano adesso raccolti da chi non possedeva vigne, con il permesso del padrone. Si andava a rapulé: si passava magari tutta una vigna per avere un cestino di uva rimasta acerba,
sempre frutto pregiato per chi non aveva di meglio.

Si sfoglia la meliga!
Pag. 31
Alla vendemmia seguiva la raccolta della meliga (grano-turco). Si portava a casa e si lasciava in cortile per poterla sfogliare e far seccare, e procedere poi alla sgranatura con la macchina apposita. Chi ne possedeva tanta la stendeva in lunghi mucchi detti quere, al fondo del cortile. Poi si passava di casa in casa, per tutta la contrada, a invitare la gente alla sfogliatura. Ci si radunava in tanti, seduti su quei mucchi che pian piano calavano fino ad esaurirsi. Il cortile era rischiarato da una luce fioca emanata dall’unica lampadina posta sullo stipite della porta di casa. L’atmosfera era allegra: si parlava, si scherzava e si cantava. Le pannocchie liberate dalle foglie, venivano gettate al centro del cortile dove cadevano con un colpo secco, mentre il mucchio aumentava. Il padrone di casa offriva agli uomini un bicchiere di vino, e la padrona un torcetto alle donne e ai bambini. Era un divertimento. E che risate, quando i grossi vermi mollicci delle camole si appiccicavano alle dita! Per i bambini era un gioco: tornavano a casa impolverati e sporchi, stanchi ma contenti e non era necessaria la ninna nanna per farli addormentare.
Adesso si fa tutto con le macchine: raccolgono, separano le pannocchie dal resto, sfogliano, trinciano tutto. Sgranano le pannocchie e i chicchi vanno direttamente nei sacchi.
CONTINUA…

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“Comunicare la Bellezza III: Giornarunner” è un progetto dell’Associazione L’Astigiano 3.0, in collaborazione con l’Associazione Lo Sport è Vita, per la promozione del territorio e di un modo di vivere salutare e sostenibile.
Il progetto gode del Patrocinio dell’Ente del Turismo Langhe Monferrato Roero e dell’Associazione per il Patrimonio dei Paesaggi Vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato

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